di Roberto Crivello e Anna Taraboletti Segre
La parola inglese plot è usata sempre più spesso anche in italiano per indicare quella che un tempo si diceva comunemente trama. Sino agli anni ’80 plot si trovava soprattutto nei testi di critica cinematografica, come conferma l’edizione del 1991 dello Zingarelli (“trama, materia narrativa di un film”). Oggi l’uso si è esteso a tutti i settori, dalla narrativa al riassunto dei programmi televisivi. Ci domandiamo quindi se plot e trama siano sinonimi, oppure se plot abbia un significato più specifico scoperto di recente dalla critica.
Di origine incerta, plot risale forse al francese antico complote, complottare, o all’inglese medievale plotte, schema, diagramma. I dizionari americani definiscono plot come “l’intreccio di un’opera drammatica o di narrativa” (American Heritage). Nei paesi anglosassoni questa parola è usata indifferentemente dalla critica, nei libri di testo per le scuole, nelle recensioni dei film, nei club di lettura. Il genere che per eccellenza si presta a una definizione di plot è il romanzo poliziesco: la storia si apre di solito con la scoperta del cadavere, dalla quale si retrocede nel tempo fino a scoprire il colpevole. Mentre storia, dunque, è la cronologia degli eventi, plot indica gli eventi nell’ordine in cui sono narrati e quindi vissuti dal protagonista. In questo contesto plot in inglese si presta a un piacevole gioco di doppi sensi, perché al concetto di trama si sovrappone il secondo significato di “complotto”: il che spiega perché, nel subconscio del lettore di madrelingua inglese, il plot di un giallo possa essere più avvincente di un monologo proustiano.
La distinzione fra storia e plot è stata definita per la prima volta in questi termini dai formalisti russi all’inizio del 1900, e in particolare da Vladimir Propp nella sua analisi delle fiabe. Nella traduzione inglese del testo russo la cronologia dei fatti è chiamata story, mentre plot è l’organizzazione degli eventi: questi due termini sono stati resi rispettivamente come fabula e intreccio nella prima traduzione italiana del libro di Propp e nei decenni di critica letteraria che l’hanno seguita. Che differenza c’è allora fra intreccio/trama e plot? “Trama”, secondo il Dizionario della lingua italiana del Devoto – Oli, Edizione 2001, “nell’industria tessile è il filo che costituisce la parte trasversale del tessuto”o la “sintesi dello svolgimento di un’opera narrativa o drammatica, dal punto di vista del contenuto”. “Intreccio” è “la disposizione presentata nel tessuto dai fili d’ordito e dalle trame”o il “concorso di fatti o elementi fortuiti o specificamente elaborati”. Trama e intreccio hanno dunque non solo lo stesso significato di plot, ma anche la stessa capacità di trasporre nel linguaggio astratto un’immagine concreta: la complessità del tessuto, con i richiami culturali che essa comporta (dalla tradizione tessile a Renzo Tramaglino) e con l’associazione con il verbo tramare che rende i due termini adatti anche al tema poliziesco, da Sciascia a Camilleri.
Se plot si è conquistato un posto nei dizionari italiani, lo deve probabilmente alla valanga di testi critici, saggi, corsi di scrittura creativa, programmi televisivi importati dagli Stati Uniti: un fenomeno non recente, se si pensa che anche il lavoro dei formalisti russi era arrivato in Italia grazie alla traduzione inglese, ma forse meritevole di maggiore attenzione se non vogliamo perdere due parole italiane così espressive.