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Il linguaggio figurato nella traduzione tecnica

di Roberto Crivello e Anna Taraboletti Segre

Un cartello affisso nella sala d’aspetto di un ospedale del Massachussets invita ad accomodarsi. Con l’immediatezza tipica della mentalità americana, l’avviso apostrofa direttamente i pazienti: “Vi preghiamo di sedervi. L’infermiere verrà a chiamarvi non appena possibile. Se aspettate da più di 10 minuti, sollevate la cornetta del citofono e avvisate la segreteria.” (traduzione letterale dall’inglese). Data la presenza di numerosi immigranti nel quartiere in cui si trova l’ospedale, il cartello è stato tradotto in diverse lingue, tra cui l’italiano: “Si prega di accomodarsi in attesa dell’infermiere. Qualora l’attesa si prolungasse oltre 10 minuti, avvisare la segreteria mediante il citofono.” Nella traduzione italiana la sostanza non cambia, ma cambia il registro, cioè lo stile scelto per adattare il messaggio al contesto sociale a cui è destinato.

La scelta del registro è una delle componenti più importanti della traduzione tecnica. Al contrario di quanto accade nella traduzione letteraria, dove stile e messaggio hanno lo stesso peso, nella traduzione tecnica è importante privilegiare la chiarezza della comunicazione rispetto allo stile dell’autore. Spesso la scelta del registro avviene automaticamente; nell’avviso appena citato, il traduttore sapeva che il paziente italiano, per abitudini linguistiche e per esperienza, si sarebbe aspettato un tono formale dall’amministrazione di un grande ospedale in cui il citofono ha sostituito il contatto umano. Altre forme di espressione, invece, richiedono uno studio più approfondito del messaggio e dei suoi destinatari. È il caso delle figure retoriche, perché spesso queste sono radicate in una realtà culturale non facile da trasporre.

Per tradurre un’immagine il traduttore ha a disposizione varie soluzioni: può tradurla letteralmente, sostituirla con una culturalmente più chiara per il destinatario, oppure saltarla a piè pari rendendone solo il concetto. La soluzione tradizionale è tradurre la figura retorica della lingua di partenza con il traducente già esistente nella lingua di destinazione. Ad esempio, la frase to reinvent the wheel, usata per indicare ironicamente un’idea presentata come nuova ma che in realtà tutti danno per scontata, ha un traducente nell’espressione “scoprire l’acqua calda”. Questa è la soluzione quasi obbligatoria nella traduzione letteraria, dove lo stile dell’autore va rispettato, non migliorato, e dove quindi è lecito sostituire una frase fatta, anche se un po’ stanca, con un’altra. Nella traduzione tecnica la scelta è lasciata all’interpretazione del messaggio da parte del traduttore. Ad esempio, in un documento di marketing che si rivolga a potenziali clienti, la traduzione letterale (“reinventare la ruota””) potrebbe raggiungere l’obiettivo in quanto è vivida, intuitiva e ancora abbastanza insolita da non rappresentare, almeno per il momento, un luogo comune.

Il linguaggio figurato è più difficile da tradurre nei testi tecnici, soprattutto se le immagini usate sono già note in una cultura ma non nell’altra. Valga l’esempio di jacknife (letteralmente: coltello a serramanico). Nel settore camionistico, jacknife indica un particolare tipo di sbandata dell’autotreno, che si cerca di prevenire dotando l’autocarro di sistemi appositi per la regolazione di varie funzioni (ABS, freni, potenza erogata dal motore, ecc.). La dinamica del gruppo autocarro-rimorchio è alquanto complessa; in breve, se le ruote motrici dell’autocarro si bloccano o slittano, quest’ultimo può ruotare pericolosamente intorno al rimorchio facendo sbandare l’autotreno. In un sito internet della Volvo, quest’immagine è stata resa con “chiusura a libro”: una soluzione che non ci convince per il fatto che ‘chiudere’ presuppone un’azione controllata, mentre l’effetto jacknife deriva da una perdita di controllo del mezzo da parte del guidatore. Per mantenere l’icasticità dell’immagine originale ci sembra più adeguata la soluzione “sbandata a serramanico”. Come nell’esempio precedente, anche in questo caso si può adottare il prestito, perché l’immagine del coltello a serramanico supera le diversità culturali.

Nel linguaggio informatico troviamo un’altra immagine inglese perfettamente adattabile anche in italiano, benché inesatta dal punto di vista tecnico: search engine, ovvero “motore di ricerca”. Il concetto comune di motore è quello di una macchina che produce energia e movimento con efficienza e semplicità: basta azionare gli appositi comandi per ottenere risultati immediati. Al contrario, come utenti del web sappiamo quanto sia difficile trovare in rete ciò di cui spesso non si conosce né l’ubicazione né l’effettiva utilità. I motori di ricerca sono enormi archivi, compilati automaticamente, che possono anche non portare da nessuna parte; spetta all’utente escogitare le parole chiave opportune e sapere individuare, tra le centinaia di pagine elencate, quelle utili. Insomma, per sfruttare il web occorre sviluppare competenze inconsuete; usare bene un motore di ricerca è molto più difficile che usare un motore tradizionale. All’inesattezza dell’immagine si contrappone però la sua immediatezza. Il motore di ricerca, come una macchina che sprigiona energia per ottenere risultati, fa presa sulla fantasia popolare e trasmette il messaggio a quel pubblico misto di tecnici e di comuni utenti che caratterizza il settore dell’informatica.

Non tutte le metafore inglesi rendono in italiano. In un gruppo di discussione frequentato da traduttori tecnici, un traduttore ha chiesto aiuto per la traduzione di full-authority electronics nella frase “…this engine uses full-authority electronics to optimize combustion, performance, fuel economy and emissions while reducing running costs”. La nascita dell’espressione è lineare: nei primi carburatori dei motori commerciali o industriali era possibile intervenire manualmente su vari componenti – ad esempio, usando la vite di registro della miscela del minimo per ottimizzare la miscelazione della benzina con l’aria; i progressi della tecnica hanno portato all’impiego sempre più diffuso di dispositivi automatici regolati elettronicamente, “togliendo il controllo” al guidatore o al meccanico improvvisato e dando “piena autorità” al computer. Le soluzioni suggerite al traduttore (“controllo elettronico totale”, “gestione elettronica integrale”, “sistema di gestione elettronica a priorità totale”) mostrano da una parte la tendenza nell’italiano tecnico a evitare gli antropomorfismi, magari ricorrendo a parole jolly (“gestione”), e dall’altra il rischio di lasciarsi sviare dall’immagine, non sempre felice o indispensabile, del testo di partenza. In questo caso, la carica espressiva di full-authority electronics ha impedito di individuare nell’oggetto in questione una semplice unità centrale di regolazione, ossia una centralina elettronica. Qui, come in molti altri casi, l’elaborazione del linguaggio figurato sembra derivare dalla necessità di distinguere un prodotto dagli altri analoghi e di caratterizzarlo come novità tecnologica. Un esempio simile, questa volta in italiano, lo troviamo nella coniazione del termine informatico “masterizzatore di CD” per rendere CD writer, laddove un’analogia con “lettore di CD” (CD reader) avrebbe suggerito un più banale *scrittore di CD.

Ci sono anche i casi in cui si ritiene impossibile qualsiasi traduzione dell’immagine e si preferisce mantenere in italiano il termine inglese. Consideriamo il nome del programma che usiamo quotidianamente per navigare in Internet: browser, derivato dall’inglese to browse, ossia sfogliare. Sfogliare un libro o una rivista significa scorrerne rapidamente le pagine, leggendo qua e là in modo frettoloso sino a trovare la pagina o l’articolo desiderato. Quindi browser ha una connotazione di attività casuale più che diligente, non diretta a uno scopo preciso. Al contrario, il browser usato nell’informatica è uno strumento: se il web è una immensa biblioteca, il browser è allo stesso tempo l’ingresso in cui si trovano i cataloghi e il modulo elettronico su cui scrivere la collocazione del materiale che si desidera consultare. Il browser, in breve, è l’interfaccia con il web che permette di selezionare e visualizzare documenti ipertestuali. Non c’è da stupirsi che quanti per primi si sono trovati a tradurre la parola browser siano stati messi in crisi da questa ambiguità tra immagine e concetto. Trovare un traducente icastico non era semplice, tanto più che la locuzione più accurata (“programma di selezione di documenti ipertestuali”) era più una spiegazione del significato di browser che non una traduzione sintetica. Così si è scelta la strada del prestito non adattato. Se da un lato la parola browser dà al testo un registro più elevato e tecnico, dall’altra si svuota il traducente di ogni valore semantico e si rinuncia all’immagine umana di un visitatore che si aggira tra siti, portali, vetrine virtuali come in una biblioteca o un mercato di enormi dimensioni. Un’alternativa semplice e ovvia esisteva nella parola sfogliatore, di cui troviamo conferma in numerose pagine del web. Una creazione neologica di questo tipo è normale in italiano; già nel 1932, nel saggio “Viveur = Vitaiolo?”, Bruno Migliorini osservava che qualsiasi verbo in -are si presta alla formazione del nome di agente in -atore. Non è raro trovare sfogliatore nei documenti di informatica, che si servono del neologismo anche se solo per chiosare browser.

La traduzione del linguaggio figurato pone specialisti, tecnici e traduttori, nonché giornalisti che si occupano di settori tecnico-scientifici, di fronte a problemi non indifferenti; le nostre osservazioni frammentarie ci mostrano, tuttavia, che la lingua italiana ha la capacità di offrire soluzioni adeguate. L’importante, prima di arrendersi davanti a immagini che potrebbero sembrare intraducibili, è analizzare il testo e fare scelte ragionate, anche se a volte possono sembrare non convenzionali.