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Influssi dell’inglese nella traduzione tecnica

in Tradurre, Giugno 2001

di Roberto Crivello

Una delle insidie da cui deve guardarsi il traduttore tecnico è il lento assorbimento del lessico e dei sintagmi della lingua di partenza. Si verifica spesso che calchi o prestiti semantici e sintattici si cristallizzino in moduli “pronti all’uso”, causando un impoverimento nelle scelte terminologiche o stilistiche e tendendo a standardizzare, e in ultima analisi a erodere, la qualità della traduzione. Questo problema, indipendente dal paese in cui vive il traduttore, è contrastabile solo con un uso sorvegliato della lingua. Vediamo alcuni esempi.

Nella traduzione di rimandi, spesso il modulo inglese refer to viene riprodotto con il calco fare riferimento a (p. es., refer to Chapter 7 tradotto con fare riferimento al capitolo 7 anziché vedi capitolo 7 o, secondo i casi, vedere o si veda il capitolo 7). Si tende così a usare fare riferimento a, anche quando il contesto richiederebbe di scrivere consultare il manuale, vedere il disegno allegato, vedi figura, leggere la sezione, e così via. Una mancanza analoga di flessibilità si verifica quando si traduce refer to con il verbo consultare, scrivendo magari consultare la sezione quando quest’ultima consiste in appena dieci righe di testo, con un involontario effetto ironico che non sfugge al lettore attento.

Traducendo documenti tecnici si incontrano spesso rimandi a liste. In inglese si parla di numbered list (lista numerata) e unnumbered list (lista non numerata); quest’ultimo termine, che spesso è una bulletted list, ossia un elenco in cui si adoperano pallini, in italiano viene reso anche con lista puntata. L’estensione del significato di puntare da “segnare con uno o più punti” a “segnare con uno o più simboli” ­ in quanto i contrassegni delle voci della lista possono essere pallini, trattini, quadratini, ecc. ­ è apprezzabile per la sinteticità ottenuta. Il problema nasce nel momento in cui il termine lista puntata si cristallizza in un modulo che si ritiene di dover adoperare sempre, come se fosse l’unica traduzione accettabile di bulleted list. Mentre è corretto scrivere lista puntata in un manuale sulla creazione di pagine web in cui si spiegano vari modi con cui mettere in risalto le voci di un elenco, il termine è ridondante nella guida all’uso di un prodotto nella quale lista è un semplice rimando. Per esempio, traducendo la frase For instructions, refer to the bulleted list on page 8, si guadagnerà in snellezza scrivendo Seguire le istruzioni della lista a pagina 8 (se in quella pagina c’è una sola lista e quindi non sono possibili equivoci) o anche soltanto, se il contesto lo permette, Seguire la procedura a pagina 8. Riepilogando, in genere è corretto seguire letteralmente l’inglese quando il termine e il suo contesto hanno uno scopo didattico o esemplificativo, mentre si può guadagnare in rapidità usando un termine più breve o alternativo quando esso serve solo da riferimento.

Le due semplicissime parole On e Off illustrano bene i problemi che possono derivare da parole inglesi che hanno una pluralità di significati e la cui brevità ne rende attraente l’uso anche in casi in cui esistono già termini italiani adatti e altrettanto chiari. On e Off significano, in modo del tutto generale, “in funzione” e “non in funzione”; la loro brevità e apparente monosemia le rendono ideali per l’uso su tasti, pulsanti, caselle di finestre software, insomma ovunque occorra occupare il minimo spazio possibile. Inoltre On e Off permettono di trasmettere a una fascia più ampia di lettori, spesso utenti non esperti di un prodotto, informazioni come turn the switch on (o off) mediante la traduzione portare l’interruttore in posizione on (o off); mentre la frase portare l’interruttore in posizione “chiuso” (o “aperto”), teoricamente più formale, è di immediata ovvietà solo per chi dispone di competenze tecniche specifiche.

Prima di procedere, osserviamo che potrebbe non essere necessario usare i due termini inglesi; spesso infatti turn the switch on (o off) ­ quando si parla di un apparecchio ­ significa semplicemente accendere (o spegnere) l’apparecchio, informazione più utile quando sui pulsanti non sono apposte diciture bensì i simboli universali | e O. (Si noti che si farebbe un errore grossolano scrivendo accendere o spegnere l’interruttore, perché quest’ultimo è un dispositivo elettromeccanico; invece è corretto ­ p. es. nel settore delle telecomunicazioni ­ scrivere accendere o spegnere lo switch, poiché qui ci si riferisce a un commutatore elettronico per la trasmissione di pacchetti di dati, ossia a un apparecchio.)

Analogamente ai casi illustrati in precedenza, On e Off ­ o i corrispondenti termini diffusissimi nelle traduzioni informatiche attivare e disattivare (il cui significato proprio è però mettere in funzione inizialmente e rendere inutilizzabile) ­ si possono cristallizzare in due tecnicismi apparentemente polifunzionali, che in un uso meno sorvegliato del registro vengono adoperati anche in quei casi in cui esistono traducenti diversi: per esempio, avviare o arrestare (motori, pompe, macchine), inserire o disinserire (circuiti), aprire o chiudere (valvole, rubinetti), portare in saturazione o in interdizione (i transistor di un circuito logico), innestare o disinnestare (organi di trasmissione del moto, come frizioni o ingranaggi). (È interessante osservare che in un autoveicolo si innestano le marce superiori ­ upshifting ­ quando si passa da un rapporto di cambio inferiore a uno superiore, mentre si scalano le marce ­ downshifting ­ nel caso opposto.)

L’automatismo nell’impiego di certi vocaboli inglesi o dei calchi o prestiti corrispondenti risulta spesso da acquiescenza nei confronti del testo originale, derivante soprattutto da un’analisi mancata o incompleta. Nei testi di marketing si legge spesso seamless integration (di prodotti o servizi); questa espressione fa parte di una serie di cliché, come state-of-the-art, on the leading edge, user friendly: termini che hanno perso qualunque significato a causa dell’utilizzazione diffusissima e acritica fattane dai pubblicitari. Fra le traduzioni di seamless integration che ho incontrato, riporto integrazione senza soluzione di continuità e perfetta integrazione (non sorprendentemente, si trova scritto anche integrazione seamless). Basta un attimo di riflessione per rendersi conto che l’espressione inglese ­ e quindi le corrispondenti italiane che si modellano su di essa ­ soffre di un problema di ridondanza: sia l’inglese integration che l’italiano integrazione implicano già i concetti di “fusione armoniosa tra più parti di un sistema” o “completamento mediante l’aggiunta di opportuni elementi complementari”.1 Invece potrebbe essere utile o necessario specificare che attuare un’integrazione può essere, per esempio, più o meno rapido, più o meno agevole. Ma spesso si ritiene che poiché seamless compare nell’espressione inglese, l’aggettivo debba essere tradotto a tutti i costi con “perfetto”, “uniforme”, “ininterrotto” o altre parole reperibili nei dizionari bilingue, ossia traducenti teoricamente corretti ma avulsi dal contesto; ne consegue, sia pure inconsapevolmente, un luogo comune. La cristallizzazione del modulo inglese e la sua riproduzione passiva nella traduzione conducono quindi a un’analoga cristallizzazione di moduli corrispondenti italiani, che potrebbe essere evitata con espressioni alternative che hanno il pregio dell’originalità o almeno della mancanza di banalità.

Consideriamo il seguente capoverso introduttivo di una guida all’uso del software di un processore audio digitale: Welcome to the ABC System Processor software guide. The goal of this document is to help you gain an understanding of how the ABC functions as you learn to use the software interface. The hardware stands alone as both a front-end and back-end system processor that can be externally controlled by a simple end-user interface, and the software is the tool that configures the device’s internal signal routing and audio processing.

Focalizziamo l’attenzione sui due termini front-end processor e back-end processor. Non è difficile trovare sul web svariate definizioni in inglese, anche se non con riferimento specifico ad apparecchi audio. In inglese si ricorre frequentemente a ridefinizioni semantiche di parole, termini, espressioni della lingua comune, che in italiano diventano prestiti integrali o quasi, affermandosi come tecnicismi esotici che in genere rimangono incomprensibili alla maggior parte dei lettori. Quindi, come sarebbe facile prevedere, in italiano sono comunissimi i termini processore front-end e processore back-end nell’informatica. Ma anche per l’italiano si possono trovare svariate definizioni per questi due termini. Front-end significa letteralmente “frontale”, “all’estremità più vicina a chi usa l’applicazione” e, con un registro tecnico, “che fornisce un’interfaccia” o “che esegue funzioni di comunicazione con dispositivi esterni”. Back-end significa invece letteralmente “posteriore”, “all’estremità più lontana da chi usa l’applicazione”, o anche “riservato per compiti determinati o secondari che non occorre mostrare all’utente”. Un back-end processor, per esempio, tipicamente viene impiegato per eseguire le operazioni di memorizzazione e recupero dei dati di archivi informatici. Adoperando i due prestiti precedenti, si aiuterebbe il lettore ­ probabilmente esperto di apparecchi audio ma forse non ferratissimo sui dispositivi di elaborazione dati ­ a capire la descrizione di questo particolare apparecchio o non lo si lascerebbe piuttosto brancolare nel buio?

In base alle considerazioni precedenti, per il capoverso riportato si possono concepire varie traduzioni che evitino l’impiego dei termini cristallizzati processore front-end e processore back-end e descrivano con chiarezza e rigore terminologico l’apparecchio; ne propongo una: La presente guida al software del processore audio digitale ABC spiega l’uso dell’interfaccia utente e le funzioni dell’apparecchio. L’hardware è un’unità autonoma, preposta sia all’elaborazione e memorizzazione interne dei dati sia al trattamento dei segnali e dati di interfaccia con gli apparecchi esterni; può essere controllata esternamente mediante la semplice interfaccia utente. Il software è lo strumento per la configurazione dell’elaborazione e dell’instradamento dei segnali audio all’interno del processore.

Tra i vari motivi che concorrono all’impiego di calchi e prestiti dall’inglese, adattati o meno, nel linguaggio tecnico si mette in rilievo la brevità di molti vocaboli inglesi.2 Specialisti, tecnici e traduttori, nonché i giornalisti che si occupano dei settori tecnico-scientifici spesso ritengono inadeguati possibili sostituenti italiani o non li hanno a portata di mano. Le scadenze impellenti e competenze tecniche insufficienti possono spingere a utilizzare termini o moduli cristallizzati, mentre la scarsa conoscenza dei meccanismi linguistici può impedire di costruire neologismi che a lungo termine potrebbero contrastare con efficacia i vocaboli inglesi.

Anche quando il traduttore vuole opporsi all’uso snobistico dell’inglese, è spesso costretto ad accettare i forestierismi più diffusi. Secondo uno dei principi della glottotecnica ­ lo studio del materiale linguistico dal punto di vista dell’armonia delle strutture linguistiche e della loro funzionalità, con la possibilità di suggerimenti tecnici di carattere normativo3 ­ i forestierismi la cui struttura è totalmente incompatibile con quella delle parole italiane si traducono o si sostituiscono con neologismi.4 Ma affinché questo criterio logico ­ oggi molto spesso disatteso ­ sia applicato, devono esistere condizioni particolari, illustrate da Bruno Migliorini:5 “Come attraverso le lingue speciali, dei tecnici, si sono diffusi gran parte dei forestierismi, così le surrogazioni hanno attecchito ogni volta che hanno potuto essere portate all’uso generale dai competenti”. Migliorini porta tra gli altri l’esempio di primato che si impose su record grazie all’uso che ne fece il Ministero dell’Aeronautica (una veloce ricerca sul web mostra che oggi record ha di nuovo superato primato nella frequenza dell’uso).

Vediamo un altro esempio più vicino ai nostri giorni: black-out. Questo termine è attestato almeno a partire dal 1983 nel significato di “oscuramento totale di una città o di parte di essa, provocato da un guasto dell’impianto d’illuminazione” [Rando, Dizionario degli anglicismi nell’italiano postunitario]2. Nei suoi comunicati l’ENEL scrive “interruzioni dell’erogazione di energia elettrica”. Forse a causa della sua macchinosità ­ a cui si aggiungono gli usuali motivi snobistici ­ a quest’ultima espressione i giornalisti preferiscono la parola inglese, che ha l’indubbio vantaggio della brevità anche se manca di quello della chiarezza per chi non conosca bene l’inglese. Arrigo Castellani ne ha proposto un ottimo sostituto in un suo saggio sull’invasione di termini anglo-americani:6 abbuio, deverbale a suffisso zero di abbuiare, “oscurare, mettere al buio”. La parola italiana ha lo stesso pregio della brevità offerta da black-out e vi aggiunge quello della maggiore chiarezza e facilità di pronunzia. Ma solo se l’ENEL, con la sua autorità tecnica, avesse costantemente adoperato abbuio, questo termine avrebbe avuto buone probabilità di sostituirsi, prima o poi, a black-out. Scrive Migliorini nel saggio citato sopra:5 “Ogni sostituzione, anche se felicemente trovata o autorevolmente sostenuta, ha bisogno di un tempo più o meno lungo d’incubazione”.

Nel momento in cui assistiamo, nell’evoluzione dell’italiano, alla “progressiva affermazione e accettazione di un ‘livello medio’ nell’uso della lingua”,7 è auspicabile che anche nel linguaggio tecnico con cui si confrontano ogni giorno i traduttori si abbandoni sia l’uso indiscriminato di forestierismi spesso incomprensibili alla maggior parte dei lettori, sia lo stile paludato nemico della chiarezza. Nell’ambito della scrittura professionale, è del 1996 un’iniziativa volta a fornire tecniche di comunicazione scritta per le varie tipologie di testi professionali: il Servizio d’Italiano Scritto.8 E sta adesso nascendo, a opera di una delle massime autorità linguistiche italiane, l’Accademia della Crusca,9 un importante servizio di consulenza linguistica: il Centro di Consulenza sulla Lingua Italiana Contemporanea, in sigla Centro CLIC. Lo scopo del centro sarà “[omissis] promuovere ricerche e riflessioni sulle tendenze evolutive dell’italiano contemporaneo, osservate non solo nel lessico (dove si impongono all’attenzione i problemi dei forestierismi e dei tecnicismi), ma altrettanto nella sintassi, nella morfologia, nella pronuncia e nell’ortografia. Il principio fondamentale che dovrebbe guidare l’attività di questo Centro non può certo essere quello di uno sterile purismo, bensì quello di curare il buon rendimento funzionale della lingua: il che vuol dire mantenerne attivi i meccanismi di produzione e la capacità di assimilare le innovazioni. Sul piano pratico, in direzione del pubblico, il Centro procurerà di diffondere ampiamente spiegazioni dei fenomeni evolutivi dell’uso attuale dell’italiano, per renderne più consapevoli i parlanti, accrescere la loro padronanza della lingua e allontanarli dai comportamenti passivi o dal gusto del puro sfoggio di novità. Il Centro curerà in particolare i rapporti, oltre che con la scuola, con le principali istituzioni pubbliche (centrali e periferiche), con i grandi mezzi di comunicazione e con le grandi aziende nazionali.”10

Se si stabilirà una collaborazione fruttuosa tra la Crusca e le istituzioni statali e regionali, i grandi mezzi di comunicazione, le aziende, gli ordini professionali, le organizzazioni attive nel settore della traduzione, potrà innescarsi un circolo virtuoso dal quale, per quanto riguarda il settore delle traduzioni tecniche, tutti trarranno beneficio: sia chi scrive, non più prigioniero di mode linguistiche, sia chi legge, non più costretto a interrogarsi su termini o espressioni criptiche.

Ringraziamenti

Grazie ad Anna Taraboletti-Segre per i suoi preziosi suggerimenti durante la fase di revisione del presente articolo.

Indicazioni bibliografiche e riferimenti

1 La definizione è tratta da Il Dizionario della lingua italiana Devoto-Oli, Edizione 2000.

2 Per una trattazione dei forestierismi o considerazioni attinenti, in relazione anche ai settori tecnico-scientifici, si vedano:

· Giovanni Adamo, La terminologia tecnico-scientifica in lingua italiana – Alcune osservazioni sulla terminologia dell’informatica, http://rmcisadu.let.uniroma1.it/crilet/library/adamo.htm.

· Francesco Bruni, L’italiano ­ Elementi di storia della lingua e della cultura, UTET, 1984. (Vedi Capitolo III, 4, L’influsso dell’inglese.)

· Michele A. Cortelazzo, Italiano d’oggi, Esedra. (Vedi Capitolo 1, La lingua italiana di fine millennio.)

· Maurizio Dardano, L’influsso dell’inglese sull’italiano d’oggi, Terminologie et Traduction, 1.91, 145/162. (Questo saggio studia l’adattamento fonetico, l’adattamento morfologico, il prestito linguistico, le terminologie, il calco e il prestito semantico.)

· Giovanni Nencioni, Plurilinguismo in Europa, in La Crusca per Voi, Foglio dell’Accademia della Crusca, N. 15, Ottobre 1997.

· Giovanni Nencioni, Il destino della lingua italiana, in Italiano e oltre, 1996, n.4, p.198-207.

· Gaetano Rando, Dizionario degli anglicismi nell’italiano postunitario, Leo S. Olschki, 1987 (Presentazione di Luca Serianni).

· Fabio Marri, La lingua dell’informatica, in Storia della lingua italiana, II, Scritto e parlato (a cura di Luca Serianni e Pietro Trifone), Einaudi, 1994.

· Pier Vincenzo Mengaldo, Il Novecento, Il Mulino, 1994. (Vedi Sezione III, Lingue speciali.)

3 La definizione è tratta da Il Dizionario della lingua italiana Devoto-Oli, Edizione 2000.

4 Giacomo Devoto, Il linguaggio d’Italia, BUR Saggi, 1999. (Vedi Capitolo L.)

5 Bruno Migliorini, La lingua italiana nel Novecento, Casa Editrice Le Lettere, 1990. (Vedi Sezione I. 4, Purismo e neopurismo.)

6 Arrigo Castellani, Morbus Anglicus, in Studi Linguistici Italiani, Salerno Editrice, 1988.

7 Francesco Sabatini, L’italiano: dalla letteratura alla nazione ­ Linee di storia linguistica d’Italia, allegato a La Crusca per Voi, Foglio dell’Accademia della Crusca. (Questo testo di Sabatini è un profilo della storia della lingua italiana scritto originariamente per l’opera L’Europa dei Popoli, curata dallo stesso Sabatini e da Antonio Golini, edita dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato – Editalia, in 5 voll., Roma 1997.)

8 http://www.mestierediscrivere.com/testi/raso.htm.

9 http://ovisun199.csovi.fi.cnr.it/crusca/. (Il sito dell’Accademia è in corso di ristrutturazione e sarà presto pronto il nuovo sito, molto più ampio e completo, a un URL ancora da definire. Il trasloco sarà debitamente segnalato al vecchio indirizzo.)

10 Dal verbale della riunione costitutiva del Centro tenuta a Firenze giovedì 18 gennaio 2001, riportato per gentile concessione dell’Accademia della Crusca. Riporto anche, con il permesso della mittente, Vera Gheno, segretaria e coordinatrice del progetto CLIC, parti di un e-mail ricevuto pochi giorni prima di completare il presente articolo: “Sia attraverso l’attività del giornale La Crusca per Voi, sia attraverso le numerosissime richieste di aiuto e consiglio pervenuteci attraverso altri canali, si è resa evidente la sentita necessità di un organo di consulenza linguistica a cui le istituzioni (e, perché no, i singoli cittadini) si potessero rivolgere in caso di diatribe linguistiche di qualunque genere. Questo dimostra che in molti ambienti l’Accademia è considerata un’istituzione di riferimento nel campo della lingua. Il nostro nuovo presidente, Prof. Francesco Sabatini, che ha sostituito il Prof. Giovanni Nencioni il 3 marzo 2000, ha ritenuto quindi opportuna la creazione di un gruppo di lavoro dedito alla consulenza linguistica. Il 18 gennaio 2001 è stata quindi convocata la prima riunione del Centro di Consulenza Linguistica, poi battezzato Centro CLIC (Centro di Consulenza Linguistica sull’Italiano Contemporaneo). Le convocazioni alla riunione sono state scelte in base alla chiara fama e competenza di collaboratori e studiosi vicini all’Accademia. [omissis] Oltre a questi membri fissi, qualora il problema linguistico fosse altamente specifico, ci curiamo di contattare esperti dei vari settori: ad esempio abbiamo una collaborazione in corso con il prof. Italo Farnetani, Pediatra, Professore a contratto di Comunicazione in Pediatria, Università di Milano, che si sta occupando di tradurre anglismi in uso nel campo medico, e abbiamo inoltre avuto contatti con l’Ordine degli Ingegneri, che sarebbe interessato a fornire collaborazioni per quanto riguarda l’uso di termini tecnici ecc. Per ora le ‘uscite’ più rilevanti del CLIC sono state:

– una consulenza per il governo precedente sulla denominazione da dare alle nuove ‘lauree brevi’ triennali, da considerarsi lauree universitarie a pieno titolo ma da differenziarsi in qualche modo dalle lauree ‘lunghe’, cioè quinquennali. Sono stati proposti i termini ‘Iunior’ per la breve e ‘Senior’ per la lunga.

– il Presidente ha inoltre preso contatti con il nuovo governo Berlusconi, in merito alla denominazione di due ministeri, ‘Welfare’ e ‘Devolution’, per il quale si riteneva innecessaria una denominazione non-italiana. Quindi nella lettera sono stati proposti i termini ‘Lavoro, Salute e Politiche Sociali’ per ‘Welfare’ e ‘Decentramento’, o ‘Regionalizzazione’, o per lo meno ‘Devoluzione’ per ‘Devolution’.”

L’e-mail riporta anche i quattro punti programmatici del ‘nuovo corso’ dell’Accademia scritti da Sabatini:

“La Crusca è oggi in Italia e nel mondo il più vivace e avanzato istituto di ricerca specificamente dedicato alla lingua italiana. La sua attività presente è ispirata agli obiettivi che si possono così riassumere:

– lo sviluppo, al passo coi tempi, dell’attività scientifica e la formazione di nuovi ricercatori, in rapporto di collaborazione-integrazione con il sistema delle nostre Università;

– l’attenzione ai complessi fenomeni dell’evoluzione delle lingue e degli scambi interlinguistici del mondo contemporaneo;

– l’attivazione di un ampio contatto con l’intera società italiana e in particolare con il mondo della scuola;

– la collaborazione diretta con le principali istituzioni scientifiche anche estere e con le istituzioni governative italiane e dell’Unione Europea per una politica linguistica del continente europeo.”